INTRODUZIONE
Il sole brilla alto nel cielo, azzurrissimo, AZZURRISSIMO. Mamma mia quanto è azzurro il cielo in questi giorni e se state leggendo queste righe, probabilmente, state pensando la stessa cosa che sto pensando io: quanto bel tempo sprecato, quanta voglia di andare in montagna, quanto mi mancano le Aupane, i Monti Pisani, le colline, le stradine ed i sentieri. E con questi amari sentieri in testa, prendiamo i nostri zaini da escursionismo, da alpinismo, da torrentismo, li svuotiamo dei loro normali contenuti (ho tolto cose dallo zaino che erano li da tre anni, come lo scotch americano) e ce li mettiamo in spalla per un altro tipo di avventura: per la spesa di oggi sarà meglio l’ospray da 37 litri o arc'teryx?
Così usciamo e facciamo finta, o almeno io lo faccio, di prepararmi ad una grande avventura, fatta di attese silenziose per entrare alla Coop, di spese che ricordano le ambientazioni dei Racconti dell’Ancella e di ritorni a casa con lo zaino pesante, pieno provviste.
Ah, lo zaino pesante! Me lo sono messo in spalla e sono stato subito bene. Chi lo avrebbe mai detto che anche mettersi uno zaino pesante in spalla avrebbe scatenato ricordi ed emozioni? Eppure è così. Cammino veloce verso casa, 800 m circa di piatto rettilineo, e mi sento comunque di aver compiuto una impresa. Così ho cominciato a pensare ad una delle ultime escursioni in montagna che ho fatto e mi sono ricordato che è un po’ che penso di scriverci qualcosa sopra, quindi lo farò, si lo faccio, ora ve lo racconto!
ATTENZIONE – L’escursione che vi sto per descrivere è da considerarsi per escursionisti esperti, assolutamente sconsigliabile a chi non ha esperienza di montagna, a chi soffre di vertigini e a chi non è mai stato sulle Alpi Apuane. L'itinerario, anche se non classificato come alpinistico, attraversa un breve tratto attrezzato. L’esposizione è continua ed in alcuni punti è essenziale l’utilizzo delle mani per la progressione.
TRE UOMINI ED UNA TACCA – Escursione sulla famigerata Tacca Bianca.
La Tacca bianca, è, insieme ad altre leggendarie escursioni/percorsi alpinistici delle Apuane, uno dei must per chiunque si voglia definire Apuanista. Ancora di più, se questo Apuanista è anche una guida! Non che vi voglia o possa accompagnare su questi percorsi, ma fa comunque piacere averli in curriculum e poterne condividere i ricordi con chi l’ha già fatto e poter far provare emozioni a chi lo vuole fare.
La Tacca Bianca è un sentiero creato dall'uomo in un fianco, altrimenti impercorribile delle pendici sudovest, del monte Altissimo. Deve il suo nome, ovviamente, alla natura marmorea delle Apuane, una tacca è un incisione, e le Apuane, se incise, mostrano il loro cuore bianco, che le ha rese famose per il motivo sbagliato ed è la causa dell’attuale devastazione creata dalle cave. Il sentiero è nato per mettere in comunicazione la Cava della Tacca bianca, appunto, con il resto del mondo, passando dal passo del Vaso Tondo.
Anche in questa escursione si attraversano numerose cave e residui più o meno recenti della storia dell’escavazione del marmo in Apuane. Alcuni sono suggestivi e raccontano di un passato eroico dei cavatori, altri, la maggior parte, tutto ciò che è moderno, urla disastro ambientale, corruzione e cattiva politica. Ma lascerò il discorso cave ad un altro momento.
Dicevamo? Sì, la Tacca Bianca. Era molto tempo che desideravo mettere questo percorso in saccoccia, ma da quando faccio la guida, in verità, ho meno tempo per andare in montagna ed il periodo che ho a disposizione è spesso quello invernale, che può significare maltempo o condizioni inadeguate (ghiaccio o altro) quindi le giornate che ho a disposizione non sono molte, ma ogni tanto succede che bel tempo, una giornata libera ed un compagno di avventura si manifestino insieme.
Decisa la data, dopo domani, comincio ad informarmi prima sul percorso e poi sulle condizioni del sentiero. Online trovo una traccia ed una relazione e chiedo su gruppi fb dedicati agli appassionati delle Apuane come questo, come sono lo condizioni del sentiero. In queste notti ci sono state delle piogge, seguite da forti escursioni termiche ed un percorso come quello della Tacca Bianca, per essere eseguito in sicurezza con dotazioni non invernali, deve essere privo di ghiaccio (vedi post), e a quanto pare lo è!
LA PARTENZA
Al mattino partiamo con relativa calma, non è sempre vero che per andare in montagna bisogna sempre partire all’alba. Per esempio, se il rischio è il ghiaccio sul sentiero, si può aspettare che si alzi il sole ed innalzi le temperature, o semplicemente se non si ha fretta di rincasare. Io, raramente ho fretta di partire e, se le condizioni me lo permettono, fare gli ultimi metri di sentiero con la frontale ha sempre avuto il suo fascino.
Il nostro primo obbiettivo è il ristorante le Gobbie, sulla strada che da Massa va verso Castel Nuovo Garfagnana, poco dopo il Passo dell’Uncino, dove arriviamo verso le 9.30 del mattino e dove si lascia la macchina per attaccare il sentiero.
Il momento in cui si parcheggia è sempre un momento un po’ strano per me. Sono sempre diviso dalla smania di partire ed il non voler partire affatto. A volte, quando sono solo in montagna sono stato anche mezzora, fermo in macchina, prima di incamminarmi. Oggi no, siamo in 3 e l’energia è tanta. Ognuno si concentra sul proprio zaino, su cosa mettere e cosa lasciare. I ramponi, portati per scrupolo, sempre per scrupolo li metto nello zaino. La picca no, il caschetto si, l’imbrago si, la longe pure, acqua, cibo, strati vari.
Partiamo ancora sommersi dall'ombra delle montagne e con le evidenti gelate della notte ancora intorno a noi, ed i primi metri di salita del sentiero n 33 sono più che benvenuti. Il sentiero taglia una vecchia via di lizza – una strada artificiale, spesso molto pendente, creata per portare i blocchi di marmo a valle – ed entra nel bosco di faggi. Sale costante e piacevole, senza troppi strappi fino ad una via di cava (strada di servizio delle cave) che si percorre molto brevemente verso sinistra per poi prendere nuovamente il 33 che continua a salire, comodo e costante fino al Passo degli Uncini.
L’arrivo al passo, in questo momento, in questo periodo è stupendo e di impatto. Le Alpi Apuane, d’inverno, data la loro vicinanza al mare, e latitudine, hanno una incredibile differenza di condizioni tra i versanti in ombra (nord est) e quelli mare (sud ovest), appunto. Fino a quel momento l’ambiente, l’aria e la temperatura era tipicamente invernale: ghiaccio, gelate, ombra e freddo, ma l’istante che mettiamo piede sul Passo entriamo in un mondo di sole, calore e luce. Tutti gli strati di indumenti che prima sembravano essenziali diventano un ingombro inutile, e ce li togliamo velocemente, mentre ci riposiamo e sgranocchiamo qualcosa.
DOPO IL PASSO
Dal Passo si prosegue, scendendo ripidamente su terreno smosso ed incerto, fino ad incrociare sulla sinistra il sentiero cai 32, segnato a bolli rossi. Il sentiero è stupendo, piccolo e leggermente impegnativo nella lettura. Scende ripido fino ad un tratto di paleo (l'erba alpina tipica delle apuane), ora totalmente secco e dorato, fino ad una piccola cengia da dove parte una scaletta in metallo fissata nella roccia. Da questo punto parte la sezione “attrezzata” del 32. Ci mettiamo il caschetto, perché sopra di noi c’è tanta parete rocciosa, ma decidiamo di non mettere l’imbrago. La scelta è giusta, il sentiero è attrezzato da un cavo che è lì più per per sicurezza psicologica, e lo utilizziamo come corrimano su una facile cengia di roccia che diventa sentiero. Le emozioni sono comunque tante e belle. È un giorno infrasettimanale, quindi siamo quasi certi di essere gli unici in quelle zone e la luce e la visibilità sono perfette e rendono i panorami vividi e vicini.
La parte attrezzata finisce e ci conduce fino alle pendici della vetta dell’Altissimo. Qui, se si seguisse il 32, in salita si arriverebbe diretti sulla vetta, ma il nostro obbiettivo, la Tacca, è giù, sotto di noi. Quindi abbandoniamo il sentiero per un ravaneto – deposito di detriti di cava – che attraversiamo sfalsati l'uno dall'altro, ognuno con la propria linea, e muoversi su questi pietroni è divertente ed impegnativo allo stesso tempo. Sbuchiamo su un’altra via di lizza che ci conduce fino a Cava Tela, una vecchia cava dismessa.
L’ambiente è drammaticamente suggestivo, montagna sbriciolata, rottami industriali a contrasto alla vista sulla Versilia, ad a nord sul golfo dei poeti. Ci sediamo su un blocco di marmo per mangiare il nostro pranzo guardando il mar ligure difronte a noi.
Da questo punto in poi l’escursione, che fino a qui non ha presentato grandi difficoltà, cambia completamente ed entra in una fase molto più avventurosa.
LA TACCA BIANCA
Da Cava Tela scendiamo per la ripidissima via di lizza, dove si possono osservare ancora i buchi dei "piri" con i segni delle scanalature scavate dalle corde. Mentre camminiamo spiego ai miei amici come funzionavano le vie di Lizza: I blocchi, escavati a mano, venivano calati a valle a mano. I lizzatori, i lavoratori addetti a questa operazione erano uomini temerari che svolgevano un lavoro pericolosissimo: calare un blocco di marmo da decine di tonnellate a mano. I piri erano pali, in marmo o legno, che venivano usati come frizioni per le corde e gestire la velocità della calata. Ovvio dire che ogni blocco arrivato a valle era un successo, e che in quegli anni, i cavatori erano veramente eroi e che il marmo era pane. Più di 20000 uomini lavoravano in questo settore, ed il volume di marmo estratto era un centesimo di quello che adesso viene estratto da 1500 operai attuali con i metodi moderni di escavazione.
Con queste note storico-polemiche abbandoniamo la via di lizza per un sentiero che termina su una placca di roccia che è attrezzata con una corda fissa e che ci fa arrivare fino ad un’altra strada di cava.
La strada carrabile dura poco, ed è un breve stacco mentale e per le nostre gambe, per quello che verrà dopo, un po’ come la calma prima della tempesta, e termina in un precipizio, se non fosse che a sinistra c'è una scala verticale che porta a 5-6 metri sopra di noi e all'attacco di un altro sentiero ovvero il sentiero di collegamento tra cava Macchietta e Cava Fitta, che sale ripido e a gradoni ed in pochi metri fa guadagnare decine di metri di dislivello. Si comincia ad assaporare l’esposizione di questo percorso, anche se questa parte di sentiero è protetta da un corrimano di cavo.
Cava Fitta è un altro fronte di cava, ancora attivo, e uno dei corridoi scavati permette di arrivare all'interno della montagna e dare uno sguardo al suo cuore bianco, mangiato a blocchi regolari per bisogni consumistici (non so se avete capito che le cave non mi piacciono, poi approfondirò). E’ un ambiente surreale, potrei quasi accettarlo se sapessi che fosse solo memoria di un momento lontano. Ad ogni modo è visivamente d’impatto e merita una foto.
Riemergiamo dai meandri della montagna per riprendere l’ascesa, con il sentiero che continua severo, nel suo dislivello e nella sua pendenza verso la cava della Tacca Bianca e l’occhio dell’Altissimo. E’ pieno inverno, ma sudiamo e siamo accaldati e l’arrivo alla cava ci da un po’ di sollievo, che estendiamo bevendo un sorso d’acqua e dando un’occhiata alla Tacca Bianca; bella, esposta ed inesistente.
Quante volte in montagna, da lontano, la via sembra non esistere! Per crearsi, quasi per magia nei metri difronte a te, quando ci si avvicina. La Tacca è così, e anche peggio. Apparentemente inesistente anche se di fronte ai nostri occhi. All'atto pratico è costituita da un terrazzino che varia di larghezza dai 50 ai 30 cm, senza nessun appiglio o protezione. La prima cosa che si pensa è: beh, qui, forse, un cavetto, ci andrebbe! Ma poi subentra il pensiero che la protezione assoluta, in montagna, è fuori luogo e che un percorso così, va bene che sia frequentato solo da chi ha sconfitto determinate paure e che ci arriva dopo un bel po’ di esperienza di montagna.
I nostri passi sono lenti, per sicurezza, e per godere al massimo di questo posto. Sono quasi grato ai cavatori, che mi permettono di vivere questa esperienza avventurosa. Il paesaggio è incredibile! Immaginate di poter camminare in una parete verticale, in un luogo che non dovrebbe ospitare persone. I miei compagni di avventura, davanti a me, sono gli unici punti di referimento di quanto il luogo sia selvaggio ed imponente. Mi sento piccolo e felice di essere in luogo del genere. Essere in luoghi che non appartengono agli umani è la sensazione che provo di più quando arrampico o faccio alpinismo.
Il sentiero continua, in leggero falsopiano, senza troppe difficoltà se non l’esposizione, fino ad un grosso masso che si sporge sul sentiero e che ci costringe ad un delicato passo da equilibristi sulla piccolissima cengia che rimane. Ma dopo quel passaggio il sentiero è finito, e ne inizia un altro, opposto e contrario. Da essere in piano ed esposti, finiamo in un canalone, stretto e ripidissimo che conduce fino al Passo del Vaso Tondo. Siamo stanchi a questo punto ed il sentiero non molla mai, costringendoci a numeroso pause per riprendere il respiro, seguite da brevi passi ed altre soste. Arranchiamo così fino all'agognato Passo, dove ci abbracciamo e ci riposiamo.
L'ALTISSIMO E LA SUA CRESTA
Da qui ci ritroviamo su un classico terreno apuanico: sentiero sconnesso discontinuo e che non molla mai. Che percorriamo felicemente però, a destra si aprono tutte le Apuane settentrionali e sulla sinistra siamo esattamente sopra la Tacca bianca. Il sentiero ha un’ultima ripida rampa che ci porta fino alla vetta del monte Altissimo, ma che altissimo non è con i suoi modesti 1589 metri, ma è sicuramente un appellativo che veste benissimo, con la sua forma aguzza e con la sua cresta stretta. In cima ci diamo un altro abbraccio e ci riposiamo un altro po’. La vista è stupenda, e apre, finalmente, a tutte le cime più conosciute: il Sagro, la Pania della Croce ed il Pizzo, ma a questo punto vogliamo concludere la nostra avventura e quindi ci ri incamminiamo dopo abbastanza poco tempo, dopo tutto, è tutta discesa ora.
La cresta, si intreccia con il sentiero 143, che ad un certo punto si snoda e prende una via più comoda a mezza costa, ma la bellezza delle creste è percorrerle e cosi facciamo. Si cammina per 35 stupendi minuti su piccole sporgenze di calcare modellate dall'acqua. SU questa cresta che non diventa mai troppo stretta, ma che non è mai troppo larga per abbassare la guardia. Il sole sta tramontando e siamo entrati definitivamente in quella che io chiamo l’ora più bella, quella prima del tramonto. Ogni passo è una scoperta ed una conquista, con la magia ottica che danno le creste, che ti costringono ad andare sempre più avanti per scoprire se potrai andare avanti o ti bloccherà con un salto di roccia.
Questa cresta si fa camminare, quasi come un’onda, sale e scende (più volte, in montagna, mi sono sentito surfista di rocce), fino a diventare sempre più piccola e sempre più stretta. Fino a scomparire del tutto ma non prima di permetterci di scendere da un ripido pendio per riprendere il 143 che correva sicuro sotto di noi.
Altro abbraccio.
Da li, poche decine di metri ci riportano al Passo dell'Uncino, al 32 in discesa, alla via di cava, alla via di lizza e alla nostra macchina e alla birra, ah la birra dopo la montagna.
Dati Tecnici:
7km
1500m di dislivello
Potete trovare la traccia qui
Se invece siete interessati ad escursioni guidate, le nostre vette sono:
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