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A Ripafratta per caso: Natura, memoria e cultura

INTRODUZIONE - Continuiamo la nostra rassegna dei racconti dei partecipanti in cui nostri amici, camminatori escursionisti ci raccontano itinerari di escursioni in Toscana o semplicemente le loro impressioni di una giornata passata a fare Trekking in Toscana.


Oggi leggiamo le parole di Luigi (Gigi) Scarano. E di quello che ha scoperto, sentito e visto durante la sua ultima escursioni in quel di Ripafratta!


Grazie Gigi e buona lettura a tutti!


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Capitano, alle volte, quelle giornate che partono zoppe, giornate nelle quali si intuisce fin dai primi minuti di veglia che si concluderanno così come sono iniziate, zoppe. Giornate in cui non si fanno passi avanti e ci si lascia coccolare da questa sensazione apatica che rende solo più apatici a meno che… ...a meno che non si decida di allacciarsi le scarpe e vedere dove ci portano, spinti da una ritrovata convinzione per la quale “se devo vivere questa giornata da zoppo, che almeno mi azzoppi davvero...” ...e così ho fatto!



Mi sono preparato un panino, ho preso la macchina e mi sono allontanato dalla città in direzione monti pisani. Arrivato al semaforo di San Giuliano, in via del Brennero, ho dovuto fare la mia prima scelta : destra o sinistra? Sono andato a sinistra e ho deciso di smettere di scegliere cosa fare per il resto della giornata. Passata Molina di Quosa, mi fermo a bere ad una fontanella e alzando lo sguardo mi accorgo di un bel cartellone del CAI in cui sono tracciati tutti i sentieri percorribili, uno parte proprio da quel punto. Carico la borraccia, cerco parcheggio per la macchina proseguendo la strada e inizio a camminare, a caso chiaramente.





Tornando indietro verso la fontanella vedo l’indicazione per il sentiero 00 e guidato dalla smania di trekking inizio a salire percorrendo i primi metri attraverso uno stretto passaggio che costeggia delle case. In pochi metri la presenza dell’uomo lascia il posto agli alberi che fanno ombra ad una breve salita che porta...ad un altro bivio, sulla sinistra la Rocca di Ripafratta e a destra un sentiero, sta volta per non dover scegliere ragiono secondo par condicio e proseguo sulla destra.


Il tracciato è ampio e costituito da un buon fondo su cui camminare, il panorama è relativo ai rigogliosi alberi che mi sovrastano e che lasciano lo sguardo libero solo per il sentiero : liane, felci e muschi mi circondano e creano il mio orizzonte tutto intorno.





Come se fossimo all’interno di un tunnel, si vede da lontano una forte luce che riflette il verde del prato che circonda una casa, punto di incrocio dei sentieri 00 e 105. Stavolta non considero nemmeno la possibilità di scelta e proseguo sullo 00 che avevo imboccato dalla strada. Fedele alla linea proseguo in direzione Rupe Cava. Entro così in un’esplosione vegetativa ancora più deflagrante della precedente, mi sembra di essere in Nuova Zelanda e inizio ad avere quasi il timore di un attacco da parte di un t-rex...o di un’orda di goblin.





Fra piccole grotte e rivoli d’acqua che permeano dal suolo trovo una vecchia struttura, a metà fra una villa ed un mulino. È ormai quasi completamente conquistata dalle piante, rampicanti e alberi sono cresciuti fra i mattoni, passando dalle finestre e sfondando solai alla continua ricerca di luce. Passo dopo passo i miei pensieri viaggiano e l’immaginazione mi porta nel passato, mi porta a ricostruire tutto quello che quel posto può essere stato quando i suoi inquilini erano uomini, donne e bambini, e il verde che la ricopre adesso doveva essere faticosamente (con)tenuto all’esterno delle mura domestiche.





Nel frattempo rientro brevemente nella realtà e mi accorgo di aver raggiunto il ciglio di una strada asfaltata, sulla mia destra un monumento ai caduti. Mi metto a leggere i nomi uno per uno non potendo fare a meno di notare quanti cognomi siano uguali, famiglie intere spezzate dalla furia nazista che non ha risparmiato nessuno, uomini e ragazzi condividono la lastra commemorativa come hanno condiviso il loro ultimo sguardo verso quei monti che li avevano nascosti e protetti fino a quel momento. Una cosa mi incuriosisce particolarmente: come da un fulmine, vengo colpito dalla vista dell’unico nome di una donna, Livia Gereschi.


Decido di continuare a camminare in questa escursione sui monti pisani, la conoscenza storica dell’accaduto troverà soddisfazione una volta rientrato a casa. Continuo proseguendo sempre alla mia destra, sullo 00, che costeggia il Monte Tondo e che spero mi riporti al punto di partenza. Dopo poco mi ritrovo in una piccola radura al cui centro si trova un vecchio casolare che mi da l’impressione di dover essere stato qualcosa di importante nella zona e che, probabilmente, adesso è un capanno di cacciatori o una cosa del genere.





Un consiglio: lungo la parete si notano dei rubinetti, rubinetti che funzionano! L’acqua non è molto buona da bere ma è ottima per bagnarsi la testa! È stata la vera manna dal cielo, visto che per la mia giornata zoppa avevo scelto il giorno di Settembre più caldo degli ultimi mille anni probabilmente. In poche parole è un ottimo punto di sosta : ombra e tavoli rotti...io mi sono fermato per mangiare il panino che mi stava fermentando nello zaino. Mi rimetto in cammino seguendo il 105 e dopo poco mantengo la stessa rotta davanti al bivio in cui trovo l’indicazione per il 107 che scende verso Molina di Quosa.


Nel giro di pochi passi mi ritrovo a un ennesimo bivio, a destra si sale verso la cima del Monte Tondo e a sinistra si continua il sentiero che lo circonda. Il ginocchio inizia a scricchiolare e decido per la seconda opzione. Man mano che proseguo mi rendo conto che se volevo tornare a casa zoppo ho fatto la scelta giusta. Il paesaggio cambia drasticamente e le felci lasciano spazio ai rovi, il comodo sentiero diventa un sentiero in discesa stretto e dissestato, scavato dall’acqua fra pareti talmente erose che le radici e la stratigrafia del terreno sono ormai esposte alla luce.


A giudicare dai detriti e le frane che lo costeggiano e formano, suppongo che durante le grandi piogge diventi un torrente scorbutico e che sia meglio evitare una passeggiata lungo il suo percorso. Dopo due ore e mezzo dalla mia partenza incrocio nuovamente lo 00, la borraccia è vuota e quindi stavolta scegliere potrebbe essere la cosa giusta, rimango sul 105 e ritrovo la cara dissetante fontanella.



Livia Gereschi, l’ennesima vittima


Durante la ritirata tedesca del ‘44 i rastrellamenti e gli eccidi erano all’ordine del giorno purtroppo. L’esercito del terzo Reich, ormai frustrato dall’incalzante sconfitta, sfoga tutta la rabbia possibile contro il popolo italiano e annebbiati dalla ricerca dei partigiani facevano prigionieri civili al fine di estorcere dalle loro bocche parole che gli aiutassero a scovare ed uccidere quelle persone che testardamente gli sparavano contro da dentro la boscaglia.


Livia fu catturata quando raggiunse la madre a Pugnano durante lo sfollamento di Pisa. Laureata in lettere, aveva prestato servizio come interprete e usò tutto il suo tedesco per far capire ai comandanti delle SS che quelli che avevano imprigionato non erano partigiani ma innocenti civili che si erano riparati nel bosco per scappare alla violenza e alle bombe. Davanti alla loro ultima richiesta di indicare i “colpevoli” di resistenza, Livia confermò che non ce ne erano e che stavano commettendo un grave sbaglio. I tedeschi liberarono le donne e i bambini grazie all’ultimo sforzo di Livia. Pagò con la vita la sua tenacia e fu fucilata insieme a uomini innocenti, che sarebbero stati innocenti anche se partigiani.

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